



“Dove la psicologia incontra creatività e consapevolezza”
Dall’assessment al processo terapeutico
L’assessment non è una fase isolata e conclusa, ma un ponte che conduce naturalmente al percorso terapeutico. Se vissuto in modo condiviso, l’assessment non fornisce soltanto informazioni al terapeuta, ma diventa già esperienza trasformativa per il paziente. In altre parole, la restituzione dei risultati non è un atto di consegna, bensì un dialogo che apre possibilità di cambiamento.
Troppo spesso si immagina la restituzione come il momento in cui il clinico espone le proprie conclusioni. Ma se l’assessment è stato condotto in un’ottica relazionale, la restituzione diventa qualcosa di diverso: è l’occasione in cui terapeuta e paziente rimettono insieme i pezzi raccolti, dando loro forma e significato. Bruno Bara ricorda che “la comprensione nasce sempre dall’incontro di due prospettive”. Così, ciò che emerge non è un giudizio dall’alto, ma una narrazione co-costruita.
Integrare i risultati con la storia di vita è un passaggio cruciale. Un punteggio elevato, un ricordo evocato, un disegno incompleto acquistano senso solo se ricondotti dentro la trama personale. Gianni Liotti sottolineava come ogni esperienza traumatica o di attaccamento insicuro abbia bisogno di essere rielaborata all’interno di una relazione che sappia contenerla. La restituzione diventa quindi il luogo in cui il paziente può guardare a sé con occhi nuovi, sentendosi accompagnato.
Anche qui, il linguaggio usato è determinante. Non si tratta di comunicare “diagnosi”, ma di restituire significati. Dire “sei depresso” chiude; dire “quello che emerge ci racconta che in questo momento ti senti schiacciato, come se le energie vitali si fossero ridotte” apre. Nel primo caso si consegna un’etichetta, nel secondo si costruisce una possibilità di riconoscimento e di cambiamento. Vittorio Guidano parlava del Sé come di un processo narrativo: la restituzione, in questa prospettiva, è un atto narrativo che aiuta la persona a riscrivere parti della propria storia.
L’assessment condiviso diventa quindi l’inizio della terapia stessa. Non è un “prima” che si esaurisce, ma una soglia che segna l’avvio di un percorso. Kristin Neff ricorda che “il cambiamento autentico nasce dall’accettazione compassionevole di ciò che è”. In questo senso, la restituzione può essere già un momento di self-compassion: il paziente, insieme al terapeuta, riconosce le proprie fatiche senza giudizio, e proprio in questo riconoscimento trova lo spazio per trasformarsi.
Ogni restituzione è unica. Può essere un colloquio denso di parole, ma anche un momento di silenzio in cui un gesto o uno sguardo comunicano più di mille spiegazioni. Ciò che conta è che il paziente senta che non si trova davanti a una valutazione esterna, ma dentro un’esperienza condivisa. Paul Gilbert sottolinea che la compassione non è mai astratta: è sempre incarnata in gesti concreti che trasmettono sicurezza e fiducia.
Quando l’assessment è vissuto così, il paziente porta con sé non solo i contenuti emersi, ma soprattutto l’esperienza di essere stato ascoltato e compreso. Questo diventa già fattore terapeutico. È come se i risultati non fossero la fine del percorso di valutazione, ma il primo mattone su cui costruire la terapia.
In questa prospettiva, dall’assessment al processo terapeutico non c’è discontinuità. È lo stesso movimento che si approfondisce: dall’esplorazione dei significati condivisi alla loro trasformazione dentro la relazione di cura. Così, l’assessment non resta una fase preliminare, ma diventa l’inizio vivo di un cammino di cambiamento.
APPROFONDIMENTI