top of page

Strumenti e metodi

Quando pensiamo agli strumenti dell’assessment, è facile immaginare test e protocolli standardizzati, schede precise e interviste guidate. Ma se ci fermiamo a questo, rischiamo di vedere solo la superficie. Ogni strumento, infatti, acquista significato soltanto dentro la relazione e nell’incontro con la storia di chi lo utilizza. Non esistono test “neutri”: esistono strumenti che diventano vivi nella misura in cui vengono condivisi, spiegati, negoziati, trasformati in occasione di comprensione reciproca.

 

Il colloquio clinico resta il cuore pulsante di tutto il processo. Strutturato o semi-strutturato, non è mai una raccolta meccanica di dati, ma un dialogo che cerca di cogliere i nodi della narrazione del paziente. Bruno Bara ci ricorda che “la conoscenza psicologica nasce dall’intreccio fra ciò che il paziente porta e ciò che il terapeuta è capace di ascoltare”. In questo intreccio, anche le domande più tecniche possono diventare aperture: non richieste di informazione, ma inviti ad approfondire il senso.

 

Accanto al colloquio, troviamo i test di personalità, sia proiettivi che psicometrici. Non sono specchi che riflettono un’immagine oggettiva e definitiva: sono strumenti che, come metafore, ci permettono di accedere a dimensioni più profonde. Un disegno, un racconto stimolato da un’immagine, un punteggio su una scala: ognuno di questi elementi non parla mai da solo, ma prende senso quando lo si restituisce e lo si discute insieme. Gianni Liotti sottolineava che il funzionamento umano non si comprende isolando variabili, ma osservando le trame affettive e relazionali che sostengono i comportamenti.

 

Anche le scale di autovalutazione, spesso considerate strumenti minori o accessori, diventano preziose quando vengono usate in un’ottica di condivisione. Compilare una scala può essere per il paziente un’occasione di riflessione su di sé, un momento in cui le domande risvegliano pensieri ed emozioni che forse non erano ancora emersi. Il terapeuta, da parte sua, non si limita a leggere un punteggio, ma accoglie ciò che la persona ha sentito nel rispondere, trasformando i numeri in parole, in significati, in dialogo.

 

E poi c’è l’osservazione clinica, quella forma di ascolto che passa attraverso i gesti, il tono della voce, le esitazioni, i silenzi. È qui che si colgono dimensioni implicite che nessun test riuscirebbe a catturare. Come ricorda Vittorio Guidano, il senso dell’esperienza umana è sempre incarnato e situato: il modo in cui una persona si siede, si muove, si emoziona mentre racconta dice tanto quanto le parole che pronuncia.

 

Tutti questi strumenti, messi insieme, non formano una collezione da usare a piacere, ma un mosaico. L’immagine che ne deriva non è la somma dei pezzi, ma la figura che emerge dal loro intreccio. Fabio Monticelli ha più volte sottolineato che il valore dell’assessment sta proprio nella capacità del clinico di integrare, di comporre un quadro coerente e condivisibile. Non si tratta di giustapporre risultati, ma di trovare un filo che tenga insieme ciò che il paziente porta e ciò che gli strumenti aiutano a far emergere.

 

In questa prospettiva, l’uso degli strumenti diventa esso stesso parte del processo terapeutico. Spiegare al paziente il senso di un test, condividere con lui le ipotesi, chiedere come ha vissuto la compilazione: tutti questi passaggi non sono “aggiunte”, ma il cuore dell’assessment condiviso. Jon Kabat-Zinn scrive che “ogni atto di consapevolezza è un atto di libertà”. Anche qui, portare attenzione insieme su ciò che emerge significa restituire alla persona la possibilità di vedersi con occhi nuovi.

 

Lo strumento, allora, non è mai neutro. È un mezzo per facilitare l’incontro, un modo per far emergere voci che forse non troverebbero spazio in un colloquio libero, o al contrario per dare ordine a vissuti che rischierebbero di rimanere confusi. Ma sempre, il suo valore sta nel fatto che non rimane chiuso nelle mani del terapeuta: diventa materia di scambio, terreno comune da cui partire per comprendere meglio chi si ha di fronte.

 

L’assessment condiviso, quindi, non rifiuta i test né li sacralizza. Li riconosce come strumenti utili, ma li colloca in una cornice più ampia: quella dell’incontro tra due persone che cercano senso insieme. È questa cornice che permette di trasformare un colloquio in un’esperienza viva, una scala in un’occasione di consapevolezza, un punteggio in una porta aperta su una storia.

APPROFONDIMENTI

bottom of page