



“Dove la psicologia incontra creatività e consapevolezza”
I test proiettivi
Tra gli strumenti dell’assessment, i test proiettivi occupano un posto particolare. Spesso sono percepiti come misteriosi, a volte criticati per la loro presunta soggettività, ma in realtà rappresentano una delle vie più feconde per entrare nel mondo interno della persona. La loro forza non sta tanto nel “misurare” qualcosa di nascosto, quanto nel creare uno spazio simbolico in cui i vissuti impliciti possono trovare forma.
Il Rorschach, ad esempio, non è un gioco di interpretazione di macchie, ma un linguaggio complesso attraverso cui emergono modalità percettive, affettive e relazionali profonde. Nel sistema R-PAS, questo linguaggio viene reso più chiaro e condivisibile, ma il cuore rimane lo stesso: dare voce a dimensioni dell’esperienza che non sempre trovano parole. Come ricorda Bruno Bara, “ciò che una persona vede dipende sempre da ciò che porta dentro”. In questo senso, la lettura di una tavola diventa metafora di come ciascuno interpreta il proprio mondo.
Ma ciò che rende davvero prezioso un test proiettivo è il momento della restituzione. Nell’ottica dell’assessment condiviso, il Rorschach non è un verdetto consegnato dal terapeuta, bensì un’occasione di dialogo: il paziente ascolta ciò che il test ha fatto emergere e può riconoscersi, sorprendersi, a volte perfino dissentire. In quel confronto nasce un senso nuovo, che appartiene a entrambi. Vittorio Guidano ci ricorda che l’identità è un processo narrativo in continua ridefinizione: così, anche l’interpretazione di un test è sempre un tassello di una storia più ampia, che prende forma nella relazione.
Accanto al Rorschach, le early memories offrono un altro accesso privilegiato al mondo interno. Ricordare le prime esperienze non significa recuperare fedelmente un archivio del passato: significa attualizzare, selezionare, dare forma a ciò che oggi rappresenta ancora un nucleo vivo di significati. Gianni Liotti sottolineava come i ricordi precoci spesso custodiscano le tracce delle relazioni primarie, con i loro nodi di sicurezza e vulnerabilità. Nell’assessment condiviso, l’evocazione di questi ricordi diventa un terreno comune in cui terapeuta e paziente si fermano a contemplare insieme ciò che, da lontano, continua a risuonare nel presente.
Un’altra via è offerta dal disegno e dai mezzi espressivi. Disegnare non significa produrre un’opera d’arte, ma lasciare che la mano dia forma a ciò che non riesce ancora a essere detto. Un tratto incerto, una figura incompleta, uno spazio vuoto possono diventare porte d’accesso a vissuti impliciti che sfuggono al linguaggio verbale. In questo senso, l’approccio espressivo non è solo complementare: è parte integrante del dialogo. Paul Gilbert ricorda che la compassione nasce anche dal riconoscere ciò che è difficile da dire a parole, trovando altre strade per portarlo alla luce.
I test proiettivi, allora, non devono essere pensati come strumenti per svelare segreti nascosti. La loro funzione è piuttosto quella di aprire uno spazio simbolico condiviso. Nel momento in cui il paziente racconta ciò che vede, ricorda ciò che emerge, o traccia una figura su un foglio, porta fuori qualcosa di sé; nel momento in cui il terapeuta accoglie, rispecchia e restituisce, questo materiale diventa occasione di consapevolezza.
È qui che l’assessment condiviso mostra la sua forza: il materiale proiettivo non è “decodificato” dal terapeuta in modo unilaterale, ma diventa materia di dialogo. È come se il test fornisse una terza voce, accanto a quelle del paziente e del clinico: una voce che porta nuovi spunti, immagini, ricordi, e che entrambi possono ascoltare per rielaborare insieme.
In questa prospettiva, i test proiettivi non sono strumenti arcaici o superati, ma possibilità preziose di incontro. Non ci dicono “la verità” sul paziente, ma ci aiutano a scoprire verità condivise, che si svelano nell’atto stesso del raccontare e del riflettere insieme. E questo, forse, è il loro dono più autentico: ricordarci che l’inconscio non è un archivio nascosto da interpretare dall’esterno, ma un flusso vivo che prende forma ogni volta che trova qualcuno disposto ad ascoltarlo.
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