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La classe di bioenergetica: uno spazio intersoggettivo silenzioso

“Quando due persone entrano in contatto, se c'è vera comunicazione, entrambe vengono trasformate.” — Carl Rogers


Le parole non sempre sono necessarie. Ci sono momenti in cui è proprio il silenzio condiviso a creare legame. Nella classe di bioenergetica, questo è forse uno degli aspetti più sorprendenti: non serve parlare, raccontarsi o spiegare. Eppure, qualcosa accade. Qualcosa si muove, dentro e tra i corpi presenti. Non è un silenzio vuoto, ma un silenzio denso, capace di contenere, sostenere, trasformare.


Essere insieme, anche senza parole

La classe non è solo un insieme di esercizi individuali. È un campo condiviso. Un contesto che si costruisce ogni volta a partire dalle presenze, dai respiri, dai gesti di chi vi partecipa. Ogni persona porta il suo corpo, la sua storia, la sua energia. Ma è l’insieme che fa la differenza.

Ricordo una classe in cui, dopo un esercizio di grounding, una partecipante è rimasta a occhi chiusi, in piedi, con le ginocchia leggermente piegate. Accanto a lei, un altro partecipante ha rallentato il suo respiro per sintonizzarsi. Nessuno aveva detto nulla. Ma si era creata una sorta di accordo non verbale. Un ritmo comune. Un tempo condiviso. In quel momento, il contatto era pieno, pur senza parole. È in questi piccoli movimenti di sincronizzazione che si genera un campo intersoggettivo autentico.


La regolazione reciproca

Daniel Siegel parla di "regolazione interpersonale" come di un processo fondamentale per lo sviluppo emotivo e relazionale. Anche da adulti, continuiamo a regolare i nostri stati interni attraverso la presenza degli altri. Il corpo sente quando è al sicuro, e questo senso di sicurezza nasce spesso nel contatto, anche solo percettivo, con un altro corpo presente. La neurobiologia interpersonale ce lo conferma: la co-regolazione è alla base della nostra capacità di elaborare, integrare e trasformare.

Nella classe, questo avviene in modo sottile. Un respiro profondo che ne richiama un altro. Una vibrazione che si diffonde nel gruppo. Uno sguardo che rassicura, pur senza parlare. È un campo di risonanza silenziosa, che si genera anche solo stando nella stessa stanza, facendo lo stesso esercizio, sentendo lo stesso tremore. È un lavoro relazionale anche quando sembra solo personale.


Non siamo soli nel sentire

Una donna, durante una classe, ha avuto un momento di forte commozione dopo un esercizio di apertura toracica. Si è seduta, ha pianto, senza bisogno di spiegare. Un’altra persona, seduta poco lontano, ha semplicemente allungato un piede verso di lei, come a dire: “Ci sono.” Nessuno ha rotto il silenzio. Eppure, in quel gesto, c’era tutta la forza della presenza umana. Un altro partecipante, dopo aver assistito a quella scena, mi ha detto alla fine: “Mi sono commosso anch’io, ma non ho pianto. Era come se il corpo dell’altra persona mi avesse parlato.”

In questi spazi non si dà consiglio, non si interpreta, non si analizza. Si sta. Si resta. E nello stare, si cura. È una cura che non viene dal fare, ma dalla presenza. Dal sapere che non sei solo nel tuo sentire. Che anche se nessuno ti parla, qualcuno c'è.


La potenza della co-presenza

Alexander Lowen ha spesso sottolineato l’importanza del gruppo come contenitore. Non per il confronto, ma per il sostegno silenzioso. In un contesto sociale dove spesso dobbiamo spiegare, giustificare, raccontare, la classe bioenergetica offre un’esperienza diversa: poter essere testimoniati nel proprio sentire, senza doverlo filtrare. Come se lo spazio stesso diventasse un corpo collettivo che accoglie, risuona, amplifica.

Una mia docente mi diceva spesso: “Le emozioni hanno bisogno di un corpo per uscire, e di un altro corpo per sentirsi accolte.” Credo che questo accada, con semplicità, in ogni classe. A volte basta un sospiro, una vibrazione condivisa, un esercizio fatto nello stesso ritmo. Senza bisogno di parole, si crea una trama relazionale fatta di movimenti, suoni, sospensioni, respiri.


Silenzio non è assenza, è pienezza

Il silenzio che si crea in certi momenti del lavoro corporeo non è vuoto. È densità. È presenza. È tempo condiviso che permette al corpo di sentire, e alla persona di non essere sola in quello che sente. È una forma di ascolto reciproco non verbale, ma profondamente incarnato.

Una volta, durante un lavoro con la voce, il gruppo ha prodotto un suono lungo e continuo. Nessuno si era messo d’accordo. Ma le voci si erano sovrapposte naturalmente, come se stessero danzando insieme. Al termine, nessuno parlò per alcuni minuti. Era come se il silenzio successivo fosse diventato un’estensione della vibrazione. Un silenzio pieno, carico di significato.

Ecco perché, spesso, chi frequenta regolarmente le classi racconta di sentirsi parte di qualcosa, anche senza conoscersi per nome. È un’appartenenza che nasce dal corpo, non dalla parola. Un'appartenenza che si costruisce nel respiro, nel gesto, nella risonanza emotiva.

In un mondo pieno di rumore, la classe diventa un luogo dove il silenzio ha senso, e il sentire trova spazio. Uno spazio in cui il corpo può finalmente riposare, fidarsi, aprirsi. Non perché deve, ma perché sente che può.

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